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A CUOPPO CUPO POCO PEPE CAPE ...e... POCO PEPE CAPE A CUOPPO CUPO

sabato 9 gennaio 2010

Libmagazine 10/04/08 – Le relazioni pericolose, ovvero si vive una volta sola, e qualcuno neanche quella. (di M.Cangiano e A.N.Maragò)

Che vita strana, che strana vita la nostra. Più la si vive, più questa sembra somigliare ad un film. Tutte le storie che intorno a noi fioriscono, s’intrecciano e si consumano sembrano tutte già scritte, già viste, compresi i personaggi, certi dialoghi e certi atteggiamenti; solo l’epilogo ci sfugge, sempre. Sì, l’epilogo mantiene sempre quel gustosissimo effetto sorpresa che guai se risultasse già scritto! Anche se, a differenza di quanto accade vedendo un film, quello che proviamo seguendo il racconto di una storia vera, di cui non apprezziamo la sorpresa finale, ci scombussola, spesso ci avvilisce e ci fa venir voglia di tenere gli occhi chiusi, strizzati fino alle lacrime, perché sappiamo che il regista di quella storia, se c’è, non abita questa terra e che quello che abbiamo appena visto non si svilirà tra i titoli di coda. Ma precisamente di cosa parliamo? Di quale vita? Di quale film? La vita è quella di Jennifer Zacconi, il film è quello di Woody Allen, Match Point. Le due storie sembrano somigliarsi almeno nell’intreccio amoroso che fa da motore alla vicenda, nella drammatica sorte che tocca a Nola Rice, protagonista del film, e a Jennifer. E nell’errore, o meglio, gli errori che entrambe pagheranno con la vita. L’intreccio amoroso è dei più banali: un marito, una moglie, un’amante. La triste sorte è ampiamente prevedibile se s’immagina un’amante gravida; starebbe poi alla sensibilità, alla maturità e al rispetto che l’uomo nutre per se stesso e per le donne di cui si è fatto carico, indirizzare l’epilogo in una direzione piuttosto che in un’altra. In entrambi i casi ci troviamo al cospetto di uomini troppo vigliacchi per affrontare le ire della moglie, troppo meschini per accorgersi in tempo di aver dato inizio ad un gioco molto più grande di loro e di cui hanno perso il controllo nel momento in cui, probabilmente per distrazione, hanno dato vita ad un’altra vita.
Al cospetto di tali uomini l’epilogo non può essere che tragico.
Il vicolo è cieco, bisogna sbarazzarsi dell’amante a costo di seppellire con lei anche il nascituro. Ed è questo che accade, in entrambi i casi, ad entrambe le donne. Gli errori a questo punto sono palesi: innamorarsi di un uomo sposato, riempire questa relazione di aspettative che, la storia c’insegna, verranno inevitabilmente disilluse, e infine decidere di portare avanti una gravidanza sì tanto scomoda per il partner. Ma quest’ultimo non dovrebbe essere considerato un errore, bensì un atto di coraggio, di devozione verso una nuova vita. Alla luce dei fatti, però, dobbiamo considerarlo un errore fatale.
Ma, come già anticipato, è sempre l’epilogo a sorprendere, a tracciare la differenza tra il falso e il vero. Difatti, mentre Chris Wilton esce impunito dalla vicenda narrata nella sceneggiatura di Allen grazie ad un fortuito incastrarsi di eventi, l’assassino reo confesso di Jennifer, Lucio Niero, già padre di due figli, viene condannato dal GUP di Venezia a trent’anni di reclusione. Quindi, probabilmente, quando Niero avrà terminato di scontare la sua pena, i suoi figli saranno a loro volta genitori, genitori migliori di lui e per nulla disposti a riconoscerlo come padre. Non potrà continuare la sua vita come se nulla mai fosse successo, rimuovendo dalla memoria il ricordo scomodo di questi fatti tragici, come il protagonista del film. Nulla potranno le scuse, nulla il perdono. Del resto, come chiamare ‘padre’ un individuo che senza alcuno scrupolo ha strangolato e poi seppellito viva una giovane donna di appena vent’anni, debole e del tutto indifesa perché all’ultimo mese di gravidanza? Trent’anni non sono pochi, certo, ma anche nel suo caso non si può dire che la fortuna non abbia fatto il suo gioco. Ci si sarebbe aspettati che venisse condannato all’ergastolo, come richiesto dal Pubblico Ministero. E invece il giudice dell’udienza preliminare Giuliana Galasso, pur riconoscendo l’aggravante della crudeltà, ha escluso la premeditazione nel delitto: quindi Jennifer è stata gettata in una fossa, è stata sepolta mentre - come è emerso dagli esami autoptici - era ancora in vita, ed è infine morta asfissiata dalla terra e dal fango, ma senza che questo crimine efferato fosse stato, secondo l’interpretazione del giudice, pianificato ed organizzato ad hoc dal reo. E’ rimasta così accolta parzialmente la tesi dei difensori di Niero, che avevano avanzato anche l’ipotesi dello stato d’ira e dell’incapacità parziale di intendere e di volere al momento del fatto. Trent’anni, quindi: ed è escluso il concorso tra delitti perché si tratta di un concorso apparente, considerato che il reato di procurato aborto deve ritenersi ‘assorbito’ in quello di omicidio. Una questione di interpretazione di norme giuridiche, si dirà. E nel frattempo gli avvocati difensori di Niero si preparano a ricorrere in appello.

3 commenti:

Mk ha detto...

Siamo sempre noi donne a rimetterci le penne.Poi dice che uno divorzia a prescindere!:)))
Ciao BP:..Chiove?:)
Mk

bp ha detto...

Piove, grandina, 'butta il vento', fa fridd'!

disASTRID ha detto...

Mi ricordo quando abbiamo scritto questo pezzo