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A CUOPPO CUPO POCO PEPE CAPE ...e... POCO PEPE CAPE A CUOPPO CUPO

lunedì 27 ottobre 2008

blog in sospeso

O rumanzo d’ ‘a gente
-Giuseppe Cangiano-

Appena aràpe ll'uocchie

e vide 'a luce

chella luce 'ndurata che sta 'ncielo

  • - ca po' te 'mpare ca se chiamma Sole-

c' 'o penziero, cu ll'anema e cu 'o core,

senza nu poco e carta e senza inchiostro,

tu scrive 'a primma pagina 'e nu libro,

e chillu libro ca se chiamma 'VITA'.


E te 'ncammine…

Primma zuppechianno, po' cchiù sicuro;

chiano o currenno passe p' 'a trafila

'e stesse cose ch'hann0 fatto ll'ate

primma ca tu nascisse.


Tutto chello che faie

rimmane scritto

comme fosse ìnchiuvato 'int' 'o penziero,

comme avisse stampato nu rumanzo:

  • 'e pazzielle,

    'e cumpagnielle 'e scola,

    ll'amice,

    'a piccerella,

    'a gelusia,

    nu pentimento dopp' 'a scappatella,

    'na gioia scuntata cu 'na malatia,

    nu vaso che 'na sera t'he arrubbato,

    'na prumessa can un he mantenuta,

    'na speranza ca po' se sfrantummata… -


Tutto rimmane scritto 'int' 'openziero!


Da uno a ciento

Vierne e Primmavere

s'arravogliano comm' 'a 'na matassa…

'E ppaggine d' 'o libro a una a una

s'ammontonano mentre 'o tiempo passa…


Pe' 'n'ora 'e bene e tante d'amarezza

scancellate cu 'o ddoce 'e 'na carezza

'a matassa se fa sempe cchiù grossa

fino a quanno nu filo nun se spezza.

[...]

Questo blog resterà in sospeso per un po'... come questa poesia che tornerò a concludere -spero- il più tardi possibile.

Statemi bene

LM


Di C. MONACELLA E M. CANGIANO Venerdì 24 ottobre al Palazzo delle arti di Napoli (Pan)si è tenuta la lettura collettiva di Gomorra. L’iniziativa, ideata da Claudio Velardi, assessore regionale al turismo, e organizzata e da ‘Napoli punto e a capo’ e ‘Decidiamo insieme’, ha registrato una notevole partecipazione: attori, giornalisti, docenti universitari, religiosi e gente comune. Libmagazine ha incontrato Claudio Velardi.


venerdì 24 ottobre 2008

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Non la morte


Francia, Novembre 2000.
La corte di Cassazione, rovesciando due giudizi in appello, riconosce a Nicolas Perruche, nato con svariati handicap -sia fisici che mentali- a causa di gravissime lesioni genetiche, il diritto di denunciare il medico che non aveva diagnosticato la rosolia alla madre durante la gravidanza, impedendole di fatto di abortire. Ciò che Nicolas invocava era il suo diritto a non nascere. Solo il non esistendo si sarebbe salvato dallo strazio di una vita ‘non degna di essere vissuta’. Non la morte, dunque.


Discover Julee Cruise!



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giovedì 23 ottobre 2008

La gelmini e la coscienza


Il reggiseno che accende tutti i tuoi sensi

ma non a te!


mercoledì 22 ottobre 2008

Una questione di civiltà

COPIO E INCOLLO DA ROSASPINA_MIA. DIFFONDETE SE POTETE.

Forse conoscete la vicenda di Angelo Falcone e Simone Nobili, detenuti in India con l'accusa di possesso di 18 kg di droga; ma questa è una situazione che riguarda oltre 3.000 nostri connazionali detenuti in paesi esteri, mentre le istituzioni del nostro paese sembrano disinteressarsi a loro.
L’amico blogger
Nathan ha proposto una iniziativa per poter in qualche modo provare a scuotere le acque: d'accordo con il sig. Giovanni Falcone padre di Angelo, ha scritto una lettera, quella che oggi verrà pubblicata da molti amici "a blog unificati" e che trovate di seguito. In calce alla lettera vi sono gli indirizzi e-mail delle principali figure istituzionali italiane, e quelle di alcune testate giornalistiche tra nazionali e locali. Abbiamo pure inviato una mail a tutti i nostri contatti. Oggi, data 22 ottobre, è l'ultimo giorno utile per il ricorso in appello per i due ragazzi… che Dio li aiuti!

P.S. mi sono permessa di “assottigliare” un po’ la lettera di Nathan, sia per brevità, sia perchè il discorso dello stato-padre non mi trova del tutto d’accordo. Intera, la troverete di certo nel suo blog e in parecchi altri.

Egregio signore,
“È ciò che ci chiedono i Cittadini” è una frase che spesso abbiamo ascoltato in TV, pronunciata dai nostri rappresentanti che siedono in Parlamento.
Chi le scrive è uno di quei Cittadini, che ancora crede alle Istituzioni.
Questa lettera nasce dopo riflessione sull’arresto e la detenzione in India di due nostri concittadini, Angelo Falcone e Simone Nobili, arrestati dalla polizia Indiana con l’accusa di detenzione di 18 kg di droga. Seguendo il blog del padre di Angelo, Giovanni Falcone, ho scoperto che di nostri cittadini detenuti all’estero ve ne sono più di 3.000!
Ad agosto, per Angelo Falcone e l’amico Simone c’è stato il verdetto di condanna a 10 anni. La possibilità di ricorso in appello ha come termine perentorio il 23 ottobre… Mi aspetterei dai rappresentanti dello Stato una corsa in India per vedere di persona come stanno le cose. Giovanni Falcone non riesce a parlare con suo figlio neppure telefonicamente. E, da quanto mi capita di leggere sul suo blog, l’interessamento delle Istituzioni di questo Paese sulla faccenda è insufficiente.
Mi aspetto un atteggiamento differente. In tali Paesi esistono quelle garanzie che sono caratteristiche di un qualunque stato di diritto?
Credo che lo Stato italiano dovrebbe correre in soccorso dei propri figli per garantire loro un processo serio ed equo, segnato, cioè, da tutte le garanzie che vengono concesse nel nostro Paese a chiunque incappi nei meccanismi della legge.
Da Cittadino di questa Repubblica chiedo, alle Istituzioni tutte, di occuparsi dei Cittadini detenuti all’estero.
Ringraziando per l’ascolto, porgo distinti saluti.
(firma)

Una serpe in seno, un'altra

Copio-incollo un commento apparso su leggosaviano.it in risposta al post che pubblicizza la lettura collettiva del libro Gomorra (di cui a lato).

Ve lo propongo giusto per farci un'idea di quanto ogni tentativo di 'protesta' risulti effettivamente vano se chi -più di altri- avrebbe il dovere di appoggiare ogni iniziativa che vada in questo senso, la boicotta, invece, con argomentazioni trite e ritrite degne del più chic dei bar dello sport:

Gli unici ed autentici modi per battere la camorra e sradicarla sono: dimenticare di essere napoletani, smetterla di fare riferimento a Napoli sempre e comunque, uscire dal ghetto di una cultura che parla sempre e comunque solo napoletano. L’operazione che si sta per inaugurare a me sembre l’ennesimo luogo comune sulla camorra, come le marce e le fiaccolate. Un luogo comune che farà centuplicare ancora di più le vendite di un brutto libro della Mondadori e di un brutto film. Perchè Napoli= Gomorra.= Sciatteria=Bruttezza e non è mai cambiato nulla dai tempi di Sthendal, Goethe, Benjamin, Adorno, Kereny, anzi è peggiorato tutto e ci si continua a crogiolare nella napoletanità. All’estero il film e il libro ci fanno stravincere perchè siamo diventati come i pellerossa: a tutti fa piacere guardarci ed osservarci, ma come fatto letterario, perchè per tutto il resto ci considerano barbari ed hanno ragione. Quello che occorre è una rivoluzione culturale dei modi e dell’estetica:bisognerebbe svegliarsi una mattina e parlare tutti inglese, che significherebbe anche comportarsi come loro o francese o tedesco. Sono molto critico verso questa operazione, che per altro, poteva solo essere pensata da quello spocchioso di Claudio Velardi.
Franco Cuomo

Più che spinto dall'irrefrenabile esigenza di far sentire la propria voce, il commento del prof. Cuomo sembra essere mosso da un'antipatia sua personale verso il Velardi. Ed è cosa questa che a noi poco interessa.
Quello che ha catturato la nostra attenzione sono state le forme alternative di protesta che il prof ci ha proposto:

1. dimenticare di essere napoletani

2. smettere di parlare di Napoli e , possibilmente, anche il napoletano

3. iniziare a parlare inglese o francese o tedesco -italiano no?- e comportarsi di conseguenza, per inaugurare una rivoluzione culturale dei modi e dell'estetica

Insomma: piantarla con napoletanità -e con l'italianità- metterlo in barba al patriottismo diventando emuli di altre nazioni.
Hai capito che idee glie sò venute ar professorone!?

Tacendo considerazioni squisitamente personali su quanto scritto dal prof, ci sfugge comunque il senso, l'utilità, di cotanta rivoluzione: non ci spieghiamo in che modo, rinnegandoci fino all'osso, andremmo ad agire sul problemuccio che libri, film, fiaccolate, letture e cose così cercano di denunciare.

martedì 21 ottobre 2008

Da la Talpa a Questa Domenica: un’escalation di orrori firmata Paola Perego


A chiunque si sia sintonizzato Giovedì 9 Ottobre su Italia Uno per la prima puntata della nuova edizione de’ La Talpa, non sarà sfuggito lo spettacolo squisitamente emotivo offertoci dalla concorrente Karina Cascella, ex scalda poltroncina, no, che dico, ex opinionista della trasmissione Uomini e Donne della De Filippi, attuale fidanzata di Salvatore Angelucci, ex tronista, questo, della suddetta trasmissione, nonché ex concorrente, sempre insieme a Karina, di un altro reality sempre di Mria De Filippi, l’indimenticato(?) Vero Amore. Cribbio, che attacco, ragazzi.

Tornando ai giorni nostri cerchiamo ora di raccontare come si sia arrivati allo spettacolino emotivo testé accennato: siamo verso la fine della puntata, Karina è stata appena votata dal pubblico come possibile talpa dunque, da regolamento, deve essere esiliata in una capanna, la così detta capanna zulu, e ivi dimorare per una settimana isolata dal resto del gruppo. La reazione di Karina alla notizia è furente e mette a dura prova le abilità conduttive di Paola Perego la quale, poco aiutata dall’inviata Paola Barale appisolatasi su un gommone di labbro, stenta a sedare la concorrente che minaccia di lasciare il gioco. Karina ha paura della solitudine a causa della prematura scomparsa dei genitori: questo è quanto si è evinto con fatica dal caos scoppiato in studio contemporaneamente al pianto di Karina.
L’episodio non ha meravigliato più di tanto, spettacoli simili più che far ergere qualche pelo superfluo non provocano altro. Quello che invece ha spinto questa ‘reazione umanamente condivisibile’, diciamo così, giù nel fango dal quale si era salvata per un soffio, sono state le dichiarazioni rese dalla sorella di Karina, Sunny Cascella, durante l’ennesimo approfondimento de’ la Talpa andato in onda Domenica 12 ottobre durante l’altra trasmissione condotta dalla Perego, Questa Domenica, che cambiato il nome non rinnega l’eredità trash di Maurizio Costanzo. Sunny, nel tentativo di spiegare per l’ennesima volta il perché Karina avesse così tanta paura della solitudine, tra una battuta e l’altra si lascia scappare qualcosa del genere: “Karina ha sempre avuto paura di rimanere da sola , soprattutto con nostro padre… perché di notte era molesto”. E aggiunge: “nostro padre era alcolizzato, infatti lei non aveva un buon rapporto con lui e neanche lui con lei” – e neanche lei con te se non taci tosto!, aggiungiamo noi.
Silenzio in studio e ovunque si sia appresa la notizia in questo modo. La Perego, messa ancora una volta a dura prova nelle sue doti di conduttrice, mugugna qualcosa ma non parla, lo stesso fanno i suoi ospiti, l’unico a prender parola è lo psicologo Alessandro Meluzzi il quale, forte del suo mestiere, butta giù qualche domandina-chiave per meglio chiarire i fatti. Ma è già tardi: Sunny quasi non risponde più e non resta altro da fare che voltare pagina e proseguire con lo show. Dal tragico all’effimero in un batter di ciglio. A questo punto però lo spettatore, quasi schiaffeggiato da questa rivelazione che, forse, meritava un contesto diverso per venir fuori o quantomeno la presenza della presunta abusata, non va più avanti nello show, non può. E mentre la Perego si delizia insieme ai suoi ospiti in chiacchiericci da parrucchiera, lo spettatore, dall’alto del suo divano, resta lì, sguardo fisso nel vuoto, a chiedersi dove siano finiti Marco Columbro e Lorella Cuccarini e le loro sfide così carine.
Un dramma familiare, l’ennesimo caso di violenza domestica, spiattellato così in due parole come si stesse raccontando di un picnic finito male a causa di una pioggia improvvisa.

Non siamo qui a ricordarvi quanto dolore si nasconda dietro ogni caso di abuso, né quanto questo dolore possa centuplicarsi quando ad abusare di te sia il tuo stesso padre. Non vogliamo neanche precisarvi quante donne di questo dolore siano morte e quante, sopravvissutegli, ricorderanno e non vivranno fino alla morte; tutto quello che vogliamo è usufruire del nostro diritto ad incazzarci, indignarci e incazzarci per la semplicità e la leggerezza con cui una simile notizia è stata riportata e affrontata, per la superficialità con la quale certi teatrini vengono costruiti, appoggiati o, peggio ancora, giustificati. Una tragedia simile – perché di questo si tratta nel caso lo spettacolo propostoci non sia stato messo su per questioni di audience – non si liquida in due parole per esigenze di copione, né si accantona se il tempo stringe. Se ne parla, se proprio non si sa come tener buono il pubblico televisivo, o si sta zitti aspettando semmai che sia il diretto interessato a mettere in scena il suo vissuto.


lunedì 20 ottobre 2008

gemme webbesche

Sul numero di ottobre di Rapporto Confidenziale il Munaciello scrive di "Burn After Reading" a pagina 8, e di "L'Alieno" a pagina 32. Di seguito riporto i due articoli per la comodità degli amici.

Le macerie dei Coen
Burn After Reading… se in dirittura d’arrivo John Malkovich, ex agente della CIA, scende i gradini del suo scantinato con un bicchiere di whisky nella mano destra e una pistola nella sinistra, con le sue gambotte bianche, storte e rivoltanti, se sorprende Richard Jenkins, sacerdote spretato ora manager di una palestra, e credendo che questi sia l’amante di sua moglie finisce per stabilire di ammazzarlo, vuol dire che c’è la zampaccia dei Coen bros. Ovvero, il turbinio di variegate ma zoppicanti personalità americane, una volta presa la via della commedia, finisce per sputare a mo’ d’elettrodomestico selvaggio un paio di individui che conoscono l’esatto punto in cui il fondo non è più grattabile.
La trama è epicicloidale, per nulla scontata, semplice ma non schematizzabile, ricca e povera, densa e trasparente; in più, la trama è di nessuna importanza fatta eccezione che per il desiderio intimo che trasmette: significazione di caso e relativa disperazione di ogni umano quanto vano tentativo di sua sistemazione. Dunque sarebbe preferibile al sunto della trama una rapida delineazione dei tipi mascherati, dei vizi umani, che nella rappresentazione dei Coen si muovono senza orientamento, quasi senza vista, cozzando fra loro nella determinazione di un complicato stato d’animo che lambendo il dolore richiede una pratica di cinismo. Ad esempio, la traiettoria di Osborne Cox (John Malkovich), analista CIA improvvisamente travolto dalle macerie in cui si sgretola il suo mondo, va ad intersecarsi con quella di Chas (Brad Pitt) del cui mondo egli stesso forse non concepisce che la crosta, e ancora con la traiettoria cadente dell’amante di sua moglie (George Clooney) estetico e chiassoso, in una sequenza prossima a quella autoconsumante del motore a scoppio. Ed è appunto sotto lo strato di lamiera spessa costruito dalla scrittura e dalla ripresa dei Coen, che ogni attore riconosce e accetta con esiti magnifici il proprio ruolo nel procedimento verso l’esplosione; e ancorché tale ruolo possa apparire piccolo, parallelo, o trascurabile, non s’avrà mai la percezione della sua inutilità perché sarà conficcato, come una spina o una biella, nel profondo della ipotesi artistica. Ne segue un Brad Pitt sorprendentemente eccezionale, vicino, per intensità e superficialità, solo al Clooney-Ulisse di “Fratello dove sei?” sempre dei Coen; trovano conferma il talento sporco e comicamente rugoso di Frances McDormand, feticcio pubblico e privato, e l’esilarante controcanto di codardia e paranoia nascosto nel machìsimo George Clooney; per finire con la prova totalmente subacquea, quanto a presenza nella storia, della Tilda Swinton, algida, zigrinata, quindi stupidamente macabra proprio come era opportuno che fosse.
Quanto al come, molto predica l’ingresso in zoom dal satellite verso la città di Washington, verso gli edifici e i corridoi, fino alla razza d’uomini che aprirà e chiuderà la vicenda in una saletta come un’altra. Alla stregua di un’incursione, mano a mano che la punta scaverà – e che la materia filmica si lascerà trapanare – emergerà netta la definizione della congrega di imbecilli (talvolta cromaticamente dichiarati all’immagine tramite la divisa della palestra “HardBodies”). Tant’è che l’azione pura, quell’intreccio caotico ma pure geometrico che anima i Coen, è innescata dalla voglia che una donna di mezza età ha di ridefinire se stessa. Si tratta, sotto il verbo, di chirurgia estetica. Di fronte allo sconquasso che ne sarà generato, gli uomini delle salette dei comandi, gli agenti di sicurezza tanto americani quanto russi, si limiteranno a controllare e a pulire le scorie che gli imbecilli lasceranno per strada. Un’inazione (o piuttosto un’azione igienica) che alla luce dell’attenzione sagace che i fratelli Coen dedicano all’attualità non può che essere sintomatica della fine dichiarata di un mondo, e della nascita di un altro – è un caso che le attività della CIA riguardo al più traumatico avvenimento della nostra epoca, l’undici settembre 2001, si siano limitate a una pulizia successiva anziché alla intercettazione preventiva?
Al cospetto di tali intelligenze, e di tale intelligenza (intendendo quella dei servizi), risulta arduo individuare vie d’uscita ad un groviglio che, pur se circoscritto alla stesura di una commedia sui generis, non può che essere esteso, per modalità e materia, al panorama umano che tale commedia acclamerà. Ed è in tale acclamazione che andrebbe rintracciato quel germe, forse allarmante o forse divertente, che i due registi propongono come un fiume sotterraneo al ruzzolare degli eventi scenici ma che riesce ad affiorare in una desolazione concreta. Il genio è sensibilità e capacità di instaurare legami invisibili fra il sentito e il da-sentire, ossia: forme inattese quali il sesso rimediato sul web, la frustrazione del sogno di essere ancora in qualche modo al mondo (il libro che Osborne Cox vuole scrivere), l’utopia dell’apparire e i vecchi canoni (con i nuovi metodi) di bellezza, la foga insaziata per la forma fisica, tutto ciò è la versione tradotta di uno stato percepito, emotivamente piuttosto che intellettualmente, dai due geniacci di Minneapolis. E tutto ciò, ancora, comunica allo spettatore iniziato che s’approssima al Coen’s una simpatia per la roboante caduta della società rappresentata, per le macerie desolate che si stagliano contro l’ennesimo, bianco, marmoreo, edificio della capitale burocratica d’america.
Ed allora questo mondo così regolato dai Coen, come sbobinato da un’incursione satellitare che non sappia trovare giustificazioni, assume una forma tristemente paralitica, poiché tutti gli elementi che in natura (una natura sociale) si presentano come contrapposti finiscono per attrarsi componendo, con l’alchimia dei Coen e dopo vortici e scariche elettriche, una realtà priva di alcun senso che non sia bizzarro. A conferma di ciò, come in “No country for old men” c’è anche in “Burn after reading” una domanda finale su una possibile morale o insegnamento. Ma come accade nel western, sebbene i toni siano più medi, più mediati o più borghesi, la vera risposta è nell’incapacità stessa da parte dei domandanti di trovarne una. Qui, non altrove, è la comicità amara. Qui il capitolo massimo dell’ironia: una non-risposta che a suo modo risponde alla domanda sul senso di tutto.

Confidenzialmente, un segreto sugli alieni
C’è un film di cui bisogna parlare. Il regista è un vago Jack Sholder il cui ultimo lavoro è “Arachnid – Il predatore” (2001, storiella di ragni e astronavi), un ragazzone classe ’45, di Philadelphia, cresciuto a cereali e latte che come sapeva l’Albertone nostro non provocano mica... cresciuto dunque pacioso, a sostanza e ritmo. Nel 1987 Jack Sholder dirige “L’alieno” – il cui titolo originale “The Hidden” è di gran lunga più evocativo oltre che specificante. Un mix di horror, poliziesco e fantascienza neanche tanto alcolico, scarsamente saporito, finanche scialbo e disgregato, che però poggia con una certa degnazione su effetti speciali particolarmente riusciti, sul ritmo incalzante e ciclico proprio di un’accurata tradizione horror, e sulla disinvoltura e stanchezza con cui il pubblico che di giorno porta il proprio brick to the wall si rilassa, alla sera, dinanzi al prodotto di consumo.
Trapela da queste poche righe, attraverso un pelo manco tanto fine, un giudizio artisticamente catastrofico. Ed infatti la curiosità del film, al contrario di quanto accada alle centinaia di altri film da accompagnamento al sonno, sta nella delineazione di un tipo di alieno fottutamente umano (si perdoni il cinemismo), profondamente anni ottanta, cinicamente incurante delle buone norme extraterrestri dettate dalle immagini di Spielberg. Mi si potrà dire: cosa c’entra il divino Steven? Ebbene, in quale prodotto di consumo non entra il divino Steven?
Già nel 1971 Steven Spielberg si costruisce la fama del sovvertitore d’immaginario collettivo con “Duel” in cui la tensione, nella ipermotorizzata società americana, quella delle larghe strade e dei lunghi tir, è espressa da un’autocisterna; poi nel 1975 sfonda con “Lo squalo” (fondando un genere) in cui la tensione arriva, ad una località turistica estiva, dal mare. Certo, tecnicamente nulla si discute, ed infatti se arte e tecnica qui non vanno discusse per l’alieno di Sholder figurarsi per i robottini italospielberghiani. Fatto sta che quando nel 1977 il regista di Cincinnati esce con “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, e nel 1982 con “E.T.” risulta chiaro quale sia l’oliatura del meccanismo: captare un sogno o una paura fondamentali, e farli emergere da luoghi inattesi o con esiti sorprendenti. È il boom: negli anni ‘80, introdotto dall’incontro ravvicinato dei fine ‘70, l’extraterrestre è buono. O piuttosto, in mancanza di codificazioni morali (se non di una deontologia propria della professione di extraterrestre), la bontà si ricama in maniera esattamente speculare alla bontà umana. Peggio, alla bontà umana infantile. Un po’ il cappottino rosso che rompe l’artefazione dicromatica della lista di Schindler: una goccia, la fanciullezza, la purezza, il rosso, il cuore, etc etc. Tutto sommato (si deve pur riconoscere) c’è della quantità di grandezza nella edificazione votata all’esito, soprattutto quando tale esito è chirurgicamente ottenuto in forma di commozione, di terrore o di tensione – esattamente come l’architetto che progetta il ponte selezionerà fra le varie forme quella che garantisce giusto sostegno – ; tuttavia è la compiacenza, non tanto verso se stessi quanto verso il pubblico, a declassare il prodotto dal ristretto novero delle opere costruttive/distruttive, da quelle indagini che scovano l’umano, l’oltre-umano, o il post-umano – a dire: il ponte dell’architetto di sopra, per quanto gradevole possa essere, non sarà mai semanticamente gravido quanto una cattedrale.
Lasciamo ora i ponti e torniamo all’alieno del “The Hidden” di Jack Sholder per chiarire, in controcampo a Spielberg, la mediocre portata altamente rivoluzionaria del nostro film. Anzitutto la forma dell’intruso è per niente umanoide. Esso non ha braccia né dita fluorescenti, non ha gambe né testoni né occhi languidi, non indica case né telefoni né amici. È semplicemente brutto, con tanto di tentacoli e ramificazioni viscide nella migliore, buona vecchia e sana, tradizione dell’estraneo. Ma ciò che più importa è che l’alieno è assolutamente avulso da qualsiasi argomento emotivo. È un prodotto di metà anni ‘80, concepito a Gloria Gaynor e poppato a pop-music, uscito fuori dalle sportellate di Bo e Luke nella contea di “Hazzard” (1979-1985), incubate a loro volta nel facile poliziesco urbano di “Starsky e Hutch” (1975-1979), ed emerso nel gran bel vezzo estetico, tutto fenicotteri al tramonto, bionde in bikini, e testarossa bianca, di “Miami Vice” (1984-1988). L’alieno di Jack Sholder è momentaneamente sulla Terra, non si sa da quanto, non si sa perché, non si sa per quanto. Abita un corpo umano per muoversi e vivere da parassita, portandolo allo stremo e abbandonandolo per un altro temporaneo veicolo un istante prima o dopo che questi sia morto. Il gran miracolo di tale essere è la sua perfetta inutilità drammaturgica paragonabile solo alla inutilità del film stesso, superata di appena un soffio dagli sforzi con cui lo combatte la parte buona – personificata dall’immacolatamente angelico Kyle Maclachlan (il pupillo di mastro Lynch in “Twin Peaks”, “Dune” e “Blue Velvet”, nonché il Ray Manzarek in “The Doors” di Oliver Stone). La sua inutilità, debolissimo segno di una poco sconcertante assenza di pensiero o morale, si evince inoltre dal rapporto per nulla indagato col suo ospite terrestre, e dalle sue pulsioni terribilmente commerciali: l’alieno non chiede altro, non vuole altro che una Ferrari, qualche tetta da palpeggiare, e del buon ripugnante pop. La sua cattiveria non sarà tale, per lui, esattamente come la bontà di E.T. ditino rosso non è tale per lui, perché l’alieno di Sholder ammazza solo in nome di quelle tre cosine che vuole. Poco più che una forma patologica di eccessivo individualismo. Una nebulosa di leggerissimo, insipidissimo, vapore acqueo che s’accresce della scarsa resistenza opposta alla gravità, e campa di nessuna domanda, nessuna risposta, nessuna volontà di domandare o rispondere o penentrare dilemmi. Solo una sfoglia inutile strutturata su quell’individualismo esasperato, e mai più inutile, di cui la nostra civiltà s’è invaghita forse proprio negli anni ’80, perfezionandosi a rampantismo yuppie poco dopo, e giungendo addirittura – positivista esempio sperimentale – a concepire oggi un apparato comunicativo che abbia come soggetto l’indistinta totalità: reality show per la tv, blogs per la scrittura, questa pagina per una cultura di sottobosco.
È qui allora che fallisce Spielberg. Ed è qui che giace fra pessime incrostazioni la voce inutilmente di denuncia dell’alieno di Sholder. Ma… sshhh, questo è un segreto, nessuno a parte Rapporto Confidenziale ve lo dirà mai.

Esce anche puntuale Libmagazine. Vi segnalo un articolo sempre di Ciro Monacella sul rapporto fra Marcello Lippi e la fantasia, e un articolo sulle proteste anti-Gelmini che reca la mia firma. Sotto la vignetta in argomento.


sabato 18 ottobre 2008

Sulla Crisi Finanziaria


Diamoci un taglio e intanto diamoci una mossa

Suvvia fatti sentire, mostrati, affacciati, sbircia tra le nuvole, fai l'impossibile ma fatti accanoscere se non vuoi che mi si geli il sangue nelle vene già tiepide. Tuona dall'alto dei cieli e miracoleggia fin sulla terra. Con mani da maestro e occhialini da esperto rimuovi il male che ci hai lasciato a titolo esemplificativo per farci un dì gioire in un "ma quant'è bello il regno dei cieli".
Fai presto che è tardi.



Discover Elisa!

giovedì 16 ottobre 2008

Benvenuti Munacielli, ma come mai non siete belli?

Sul blog di Cuncetta ho trovato un divertente spassatiempo, trattasi di sito web ove è possibile dedurre, previo upload di personali immagini, il volto della futura prole.
Ho uplodato un numero 4 di foto, 2 per genitore ottenendo i seguenti rislutati:
Nel caso in cui il Munaciello faccia da madre e la Bippina faccia da padre, si otterrebbe il seguente marmocchietto


Nel caso in cui la Bippina faccia da madre e il Munaciello da padre -come natura impone- si otterrebbe invece il seguente marmocchietto




Nel primo caso il marmocchietto avrebbe il mio naso e -haimè- le mie orecchie, mentre il colore dei capelli e la bocca sarebbero quelli del munaciello.
Nel secondo caso, invece, il colore dei capelli, nonché la quantità degli stessi, sarebbero di eredità materna, così come la bocca, mentre il naso sarebbe di eredità paterna.
In entrambi i casi il marmocchietto avrebbe i miei occhi, sia nella forma che nel colore.

L'aspetto da rilevarsi come sconcertante in tutto questo smarmocchiamento è che cambiando l'ordine degli addendi non solo il risultato cambia ma è sempre e comunque brutto, bruttariello và, trattandosi pur sempre di infanti cui sarà dato modo di crescere e modificarsi... ma pè mò stì criatur sò brutt!

lunedì 13 ottobre 2008

Prendete appunti

Questa settimana su Libmagazine:
La Taverni
Il Guerrera
Il D'Addesio
Il Mollica
La Mella
le 3 rubriche
e un corsivo
che reca seco le mie iniziali.

sabato 11 ottobre 2008

Sappiate dire con la giusta voce
o tacete se la voce vi comanda.

Ciò che è urlato
va in frantumi e muore

il sussurro, invece,
tuona.



giovedì 9 ottobre 2008

bush e la crisi finanziaria

La vignetta di Ciro Monacella su LibMagazine



Discover Pat Boone!

domenica 5 ottobre 2008

Quer pasticciaccio brutto de Libmagazine


Popolazione in tumulto a San Giorgio a Cremano (Napoli) per la prossima apertura di un sexy shop, il primo in città, che dovrebbe sorgere tra una scuola elementare e una scuola media.
L’iniziativa è stata accolta con sorpresa dai cittadini i quali, oltre a non spiegarsi il motivo che ha spinto le amministrazioni comunali ad accettare l’apertura dell’attività, faticano a comprendere anche il perché questa debba sorgere proprio in una strada centrale, in prossimità di vari istituti scolastici e non lontano da una chiesa. Questo è quanto ci ha spiegato le signora Lucia

Bocciati Spike Lee e Giorgio Bocca
Avremmo potuto parlare della necessità per il newyorkese Spike Lee d’amalgamare cultura nera e cultura italiana universalizzando l’anima segreta della sua città, andando a raggiungere, fra gli incontri originari tra le due culture, quello avvenuto in Italia durante la seconda guerra mondiale; allora ci saremmo con piacere persi nel testo di “Tammurriata Nera”, canzone scritta da Nicolardi e E. A. Mario nell’immediato dopoguerra, che narra dell’insolita nascita d’un bimbo di colore da una donna napoletana… o perfino saremmo sconfinati nelle ragioni che spiegano la figura spaventa-bambini dell’uomo nero.
Invece no.

E’ vero, Santo Padre, l’Aids si combatte a colpi di Billings.
Torna a lanciare appelli contro l’uso sconsiderato della contraccezione il Papa (non il Papa in quanto Joseph Ratzinger, ma in quanto Papa, chè altri ce ne sono stati prima di lui a spiare dal buco della serratura la vita sessuale dei fedeli per indirizzarla alla retta via).
Posso capire l’interesse da saggio padre di Joseph: l’interferenza artificiale del preservativo risulta piuttosto scomoda e poco adatta a godere in pieno dei piaceri del sesso; la pillola discrimina quelli che non riescono ad ingoiarla, un po’ come l’iPhone fa con gli obesi che hanno polpastrelli troppo grossi per cimentarsi col touch screen. Insomma, in un mondo ideale, senza malattie e dove dall’incontro di uno spermatozoo e un ovulo non si incorra nel rischio di una gravidanza non desiderata, sarei anche io contraria alla contraccezione e favorevole al libero mercato.

Mourinho Special Love
Leggenda dice - e realtà conferma – che un paio di mesi fa José Mourinho, poco dopo un’amichevole estiva dell’Inter in Portogallo, abbia preso due aerei speculari (Oporto-Malpensa e Malpensa-Oporto) nel giro di otto ore per riaccompagnare la squadra in Italia e per poi ritornare immediatamente in Portogallo, dove la sua famiglia lo aspettava.
Alzi la mano un allenatore che abbia fatto una sfacchinata simile per i suoi giocatori. Il Mou, nella cerchia dei suoi colleghi, è sicuramente “special” (nickname che nacque oltremanica alla sua prima conferenza da allenatore del Chelsea). Aneddoti sul suo carattere e sul suo rapporto con i giocatori si sprecano, vedi i continui messaggini che si scambia con calciatori del passato e del presente come un padre/fratello maggiore.