
Avevo sedici anni una mattina, quando una mia amica mi chiamò e mi disse: ‘Marzia, domani tutti al mare!’ ed io : ‘guarda che ho il ciclo!’ e così sinceramente declinai. Riagganciai il telefono e mia nonna (generazione 1921) che – orecchio bionico- aveva ascoltato la conversazione, con sguardo severo mi disse: ‘Queste sono cose che non si dicono, sono talmente intime … L’intimità! Sai cosa vuol dire intimità?’ E io, che credevo di saperlo, con aria di sufficienza, sbuffai.
Pensavo che da allora, da quando le donne nascondevano il mestruo come un’onta, le cose erano cambiate e che spifferare il proprio ciclo ad un’amica non voleva dire violare il proprio intimo. Anche -e soprattutto- perché, in quella specifica circostanza, ero stata io medesima a ‘violarmi’; ero stata io, nel pieno delle mie facoltà psichiche, a ritenere opportuno che quella data ragazza venisse a conoscenza della mia situazione ormonale. Capitolo chiuso. Il mio intimo era sano e salvo. Se violazione c’era stata ero stata io a perpetrarla ai miei danni, dunque perché parlare di violazione?
Passarono i mesi e gli anni, con me che puntualmente, ogni volta che c’era da andare tutti al mare, avevo il ciclo e lo dicevo … e qualche volta lo dicevo anche mentendo, usandolo come scusa per starmene a casa, al fresco, a sonnecchiare.
Da allora ad oggi sono passati quattordici anni e in questo tempo il mio corpo e, insieme, il mio concetto di intimità si sono modificati con una frequenza di almeno due volte a settimana. Infatti, se si segue il proprio corpo in tutto il suo divenire, ci si può accorgere di ogni minimo cambiamento e allora l’intimo, l’intimità, prende a racchiudere un’innumerevole serie di aspetti che, pur volendo, non si riesce a condividere con nessuno, se non con chi, con il tuo bene placido, condivide la proprietà del tuo stesso corpo. Spifferare tali ‘sfumature’ a chicchessia sembra un atto irrispettoso, una violenza, una violazione di proprietà privata in tutto è per tutto. Questo è quello che pensavo io!